Il futuro dietro l’angolo e il treno del metaverso che le aziende non possono perdere

La realtà virtuale permette di correre su due binari paralleli, intercettare target altrimenti irraggiungibili e sviluppare servizi ed esperienze su misura per aumentare gli introiti. Perché rinunciarci?

Disney, Adidas, Samsung, Gucci, Nike, Sotheby’s e Balenciaga oltre a essere nel ristretto gruppo dei brand più noti su scala globale hanno un tratto che li accomuna: stanno scommettendo sul metaverso, la nuova frontiera della realtà virtuale in cui i nostri avatar replicheranno le attività, i lavori, le abitudini, i passatempi e, più in generale, le esperienze che viviamo quotidianamente nella realtà. Il cambio di direzione di Facebook, che si è trasformata in Meta Platforms e ha annunciato investimenti per oltre 10 miliardi di dollari annui per creare il suo metaverso, ha fatto impennare le azioni dei mondi virtuali già disponibili e creato un clamoroso hype negli utenti, affascinati da un mondo parallelo in cui ognuno di noi avrà maggiori possibilità di lasciare un segno e soddisfare la sete di possesso. A patto di muoversi per tempo, cioè prima degli altri.

 Questo è uno dei motivi per cui i marchi citati in precedenza, così come tante altre grandi e piccole aziende specializzate in diversi settori, hanno già abbracciato le realtà alternative, quelle dove la fisicità non esiste e le relazioni scorrono da remoto, materializzandosi in formato virtuale. Gli addetti ai lavori, che sono esperti anche nel definire le fasi di transizione come quella che stiamo vivendo, parlano dell’arrivo della quarta rivoluzione informatica per sottolineare il ruolo chiave dello spatial computing, cioè la possibilità di digitalizzare le attività di macchine, oggetti, ambienti e individui, così da ottimizzare azioni e interazioni. La possibilità di superare i vincoli che finora hanno limitato il mondo digitale si traduce, in primo luogo, in nuove applicazioni legate alle tecnologie che permettono di vivere esperienze immersive, al momento già fruibili in ambito industriale (il training virtuale a livello di sicurezza è uno degli esempi più diffusi), dove gli operatori stanno imparando a muoversi tra realtà fisica, realtà aumentata e realtà virtuale.  

 La trasformazione da digitale a virtuale porterà nel tempo allo sviluppo di spazi condivisi simili per concezione, velocità e libertà di esecuzione al mondo reale. Negozi, show-room, stadi, arene e concerti, come anche centri commerciali, piazze e uffici diventeranno gemelli digitali della versione fisica, consentendo alle aziende di sviluppare attività di marketing, vendita e fidelizzazione del cliente anche in questo mondo alternativo. Per quanto in divenire e ancora lontana dalla maturità – che secondo Mark Zuckerberg raggiungerà il culmine tra 10-15 anni rivelandosi come nuovo ambiente in cui il nostro avatar digitale lavorerà, interagirà, farà sport, acquisti, visite e vacanze – la realtà virtuale non va percepita e considerata in contrapposizione alle esperienze giornaliere che si susseguono nel mondo reale, senza web e dispositivi per accedervi. Non è una sfida tra due pianeti come la dipinge il grande capo di Facebook, che affibbia superlativi in serie alla realtà virtuale per tirare acqua al proprio mulino, bensì un doppio binario da sfruttare al meglio, consapevoli che l’immersione nei contenuti di uno spazio virtuale ricalca la realtà con sfumature inevitabilmente divergenti, dovute alla maggiore velocità e flessibilità del nuovo che avanza.

 Fatte le dovute premesse, perché allora assistiamo alla corsa dei brand verso territori digitali inesplorati, le cui potenzialità sono ancora da scoprire e le dinamiche tutte da costruire? Compagnie leader nei rispettivi segmenti di mercato potrebbero permettersi di attendere lo sviluppo, o quantomeno i necessari primi passi concreti per soppesare le opportunità e trovare strade da battere al fine di coinvolgere fan e attirare clienti. Lasciando magari campo libero a piccoli player a caccia di exploit che possano garantire la visibilità che cercano. E invece no, la teoria dell’attesa appare superata dalla volontà di sperimentare e arrivare prima degli altri ad occupare e caratterizzare gli ambienti virtuali, riuscendo nella stragrande maggioranza dei casi a trovare subito la chiave di volta per vendere servizi, esperienze e prodotti, così da aumentare le entrare, diversificando le fonti di ricavo.

 Attuando strategie differenti, Nike e Adidas sono state tra le prime a conquistare seguaci e aprire prospettive lungimiranti per il futuro a breve e medio termine. I tedeschi hanno lanciato ‘Into The Metaverse’, la prima collezione Adidas Originals che unisce oggetti reali e virtuali tramite NFT, una sorta di certificati di proprietà che caratterizzano autenticità e possesso di oggetti e beni digitali, in partnership con Bored Ape Yacht Club e Punks Comic. Felpe e berretti in edizione limitata insieme a esperienze digitali esclusive e la possibilità di fornire suggerimenti sui prossimi prodotti (reali) da realizzare sono il menu succulento per gli appassionati, attirati dall’effetto novità e dall’opportunità di possedere qualcosa destinato a pochi fortunati eletti.  Il baffo più iconico e riconoscibile dei tempi moderni, invece, è andato oltre l’ibrido reale-digitale con l’acquisizione di RTFKT, collettivo specializzato nella creazione di sneaker virtuali, che in meno di tre anni ha raccolto quasi 10 milioni di dollari di finanziamenti e realizzato grandi volumi di vendite grazie a partnership con pezzi da novanta come Takashi Murakami, arrivando a esser valutata più di 33 milioni di dollari. A sciogliere i dubbi su cosa abbia spinto Nike a investire in un trio (Benoit Pagotto, Steven Vasilev e Chris Le) che disegna prodotti immateriali è stato John Donahoe, presidente e amministratore delegato del colosso dello sportswear: “Questo è un passo che accelera la trasformazione digitale del brand e ci permette di offrire oggetti da collezione di nuova generazione che fondono cultura e gaming, oltre a esperienze virtuali uniche nel loro genere”. 

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 In attesa del metaverso di Facebook, oggi ci sono molte altre piattaforme virtuali che permettono alle persone di riunirsi, confrontarsi, giocare e divertirsi tramite i rispettivi avatar. Ci sono ambienti incentrati sul gaming e le esibizioni degli artisti, con Fortnite capostipite della specie, progetti dedicati all’ambito professionale come Horizon Workrooms, social network in formato 3D come VRChat ma anche e soprattutto spazi virtuali in cui farsi largo con l’acquisto di terreni per costruire proprietà tramite cui offrire esperienze e vendere prodotti (dall’abbigliamento dell’avatar all’arredamento della sua casa, dalla palestra in cui allenarsi alle gallerie d’arte per organizzare mostre e incontri, fino a bar e ristoranti in cui invitare gli amici, reali o virtuali non fa differenza). Due di questi mondi paralleli gettonati dagli appassionati sono Decentraland (dove hanno acquistato lotti Samsung, JPMorgan, Philippe Plein, mentre Barbados ha inaugurato la sua ambasciata virtuale) e The Sandbox.

 Costruire mondi per monetizzare dai propri possedimenti è la sfida degli oltre 30.000 utenti attivi mensilmente (più della metà rimane sulla piattaforma oltre un’ora al giorno) su The Sandboxecosistema basato come gli altri ambienti simili sulla blockchain, in cui ogni utente ha il proprio wallet di $SAND, criptomoneta con cui si concludono acquisti e cessioni. Qui tra gli oltre 18.000 partner che hanno pagato per avere una proprietà ci sono Atari, Manchester City, Gucci, Hell’s Kitchen e I Puffi. Il fiuto per gli affari ha intrigato anche Snoop Dogg, che ha lanciato una linea di avatar che lo raffigurano da usare in questo e altri ambienti virtuali (al prezzo di 150 SAND ciascuno). Marco Verratti si è assicurato invece un’isola sull’ormai ambita piattaforma, diventando il primo calciatore titolare di un immobile digitale; il calciatore del Paris Saint Germain ha acquistato un terreno di lusso (come la tennista Ana Ivanovic), con possibilità di costruire porti e diverse infrastrutture, così da ospitare in futuro amici e fans con cui condividere partite, concerti e momenti privati (a pagamento, ovviamente).

 Al di là dei singoli personaggi, per le aziende The Sandbox è un anticipo del futuro ormai dietro l’angolo, perché consente di promuovere il brand e ottenere visibilità da un target con un’età media bassa (tratto tipico delle fasce di pubblico più giovani che per prime sperimentano le novità tecnologiche), difficile da intercettare con mezzi e strategie di marketing tradizionali. Muoversi per tempo è cruciale per ottenere un vantaggio, poiché la scarsità dei lotti disponibili unita alle opportunità di personalizzare l’universo virtuale in cui accogliere fan e clienti ha fatto schizzare in alto i prezzi, con appezzamenti venduti per più di 2 milioni di dollari. 

 Servirà tempo per ampliare alla massa il nuovo paradigma racchiuso nel metaverso, perché oltre alla maturazione degli ambienti digitali e allo sviluppo dei piani da perseguire per catturare l’attenzione, saranno necessari strumenti adeguati che consentano di varcare la porta senza dover fare i conti con controindicazioni fisiche e spese troppo ingenti. Gli attuali visori come l’Oculus Quest 2 saranno presto rimpiazzati da occhiali smart meno ingombranti e più leggeri, mentre i futuristi puntano su computer indossabili che ci libereranno dal contatto con il dispositivo e manderanno in pensione lo smartphone. Chissà se un primo passo in questa direzione arriverà con gli smart glasses che Apple dovrebbe lanciare nei prossimi mesi, anche se il device dovrebbe focalizzarsi sulla realtà aumentata, passaggio intermedio quanto obbligato prima di arrivare a immergersi in esperienze virtuali a 360 gradi. 

 Con un cambiamento di tale dimensioni all’orizzonte, pur consapevoli che nuovi player si dimostreranno capaci di sfruttare prima e meglio il taglio col passato dettato dalla nascita di ecosistemi inediti e tutti da esplorare, per le aziende è essenziale salire sul treno in corsa e testare come cavalcare la locomotiva virtuale. Anche perché arrivare in ritardo potrebbe costare caro e nessuno vuole passare alla storia ricalcando le orme del disastroso fallimento di Blockbuster.

Alessio Caprodossi per Zampediverse | Giornalista freelance, esperto di tecnologia e sport, consulente comunicazione per aziende e progetti editoriali, collabora con testate italiane e internazionali come Panorama, Mashable, Wired, StartupItali Panorama, Mashable, Wired, StartupItalia, 4i-Mag.a, 4i-Mag


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