Dall’inizio di novembre 2025 è finalmente disponibile su Crunchyroll il doppiaggio italiano completo della seconda stagione dell’adattamento animato de “I diari della speziale” (The Apothecary Diaries / Kusuriya no Hitorigoto), conclusasi lo scorso luglio. È un traguardo significativo per una serie che, silenziosamente, si è ritagliata un posto di rilievo tra le produzioni più raffinate degli ultimi anni, conquistando pubblico e critica grazie a un equilibrio raro tra intrigo, introspezione e ricostruzione storica.

Ambientata in una corte imperiale ispirata alla Cina Tang, ma filtrata attraverso una sensibilità profondamente giapponese, la storia segue Mao Mao, giovane speziale rapita dal quartiere dei fiori e costretta a lavorare come serva all’interno del palazzo. Da quel momento, la sua vita si intreccia con i misteri di corte: casi di veleni, intrighi medici, morti sospette e giochi di potere che nascondono molto più di quanto appaia.
Ma I diari della speziale non è un semplice “mistery storico”: è un racconto sul potere della conoscenza in un mondo che la teme. Mao Mao osserva, deduce, sperimenta; il suo pensiero scientifico è insieme difesa e linguaggio segreto. Cresciuta ai margini, ha imparato che la curiosità può costare cara: per questo affronta la realtà con diffidenza e un certo pessimismo lucido, come se l’analisi razionale fosse l’unico modo per tenere a distanza la delusione. La scienza è il suo rifugio e la sua arma, l’unico terreno in cui sente di poter esercitare davvero libertà.
È questo tratto a renderla un personaggio così complesso e insolito nel panorama attuale: non una giovane geniale “ferita” o idealizzata, ma una donna consapevole dei propri limiti e del valore del dubbio. Non crede in nessuno, ma osserva tutti; non si fida del potere, ma ne decifra i sintomi con precisione clinica. Il suo sguardo trasforma il palazzo imperiale in un laboratorio vivente, dove la biologia, la tossicologia e la psicologia si intrecciano con la politica e la superstizione.
Attorno a lei si muove una galleria di personaggi calibrata con grande cura. Jinshi — o Renshi, secondo la diversa romanizzazione che compare in alcuni sottotitoli — è il funzionario di alto rango che regge la corte interna e che prova un’attenzione particolare per lei. Nelle sue parole, nei gesti calcolati e nelle pause, si percepisce un interesse che oscilla tra la curiosità e la vulnerabilità. È lui, più di chiunque altro, a rompere il protocollo con piccoli slittamenti linguistici: chiama Mao Mao per nome, senza titoli né formule, cercando di scalfire la sua distanza.
Più discreto ma altrettanto rivelatore è il comportamento di Gaoshun, assistente di Jinshi. Quando le dice “Xiaomao” — piccolo gatto — non è solo un vezzeggiativo, ma una chiave relazionale. In un sistema dove l’etichetta vale più del sentimento, usare un soprannome significa riconoscere un legame personale. Gaoshun la rispetta, la stima e la protegge, ma con il tono ironico di chi ha visto abbastanza per non prendersi troppo sul serio.
Tra le figure che orbitano nel mondo della protagonista, Xiaolan, la cameriera del palazzo, rappresenta forse l’unico legame sincero: tra loro non servono onorifici o maschere. Il padre, Luomen, invece parla poco e misura ogni parola: l’affetto è implicito, mediato dalla cautela di chi conosce i pericoli della curiosità. E quando la padrona del bordello la chiama ancora con un nomignolo infantile, si avverte la malinconia di un passato semplice che il palazzo ha cancellato.
Il linguaggio è, in I diari della speziale, un campo di battaglia sottile. Ogni modo di rivolgersi a qualcuno definisce una gerarchia, un’alleanza, o un confine invisibile. In questo, la serie non descrive solo un mondo antico: descrive un modo di relazionarsi. L’autrice Natsu Hyūga, consapevole della distanza tra il lettore moderno e la cultura Tang, adotta la codifica sociale giapponese del keigo, dove il rispetto e la distanza si esprimono nelle forme del parlare. Il risultato è un ibrido narrativo: un mondo cinese all’occhio, ma giapponese nell’orecchio e nel ritmo interiore.

“I diari” o “Il monologo”: due letture di un titolo
Anche le traduzioni del titolo riflettono questa doppia anima. In Italia, come in gran parte dei paesi anglofoni, la serie è conosciuta come I diari della speziale (The Apothecary Diaries), una scelta che mette l’accento sull’aspetto investigativo e quasi documentaristico della storia — come se Mao Mao tenesse un registro delle sue osservazioni, un archivio di esperimenti e deduzioni. È un titolo che dialoga bene con la struttura episodica delle prime storie e con il ritmo di scoperta che accompagna ogni caso.
Il titolo originale giapponese, Kusuriya no Hitorigoto, è però più intimo: si tradurrebbe letteralmente come “Il monologo della speziale”. Qui l’attenzione si sposta dalla cronaca alla voce interiore. “Hitorigoto” significa “parlare da soli”, un pensiero sussurrato o un ragionamento mentale; suggerisce il modo in cui Mao Mao vive la conoscenza — come un dialogo con sé stessa, fatto di ipotesi, deduzioni e dubbi. La versione “diari” restituisce il metodo, quella “monologo” ne mostra la solitudine. Entrambe sono vere: due prospettive complementari su un personaggio che analizza il mondo ma ne resta ai margini, osservando tutto da dietro il vetro della ragione.
Il passaggio dalla light novel originale agli adattamenti successivi è stato fluido ma progressivo. La novel, serializzata dal 2014, ha consolidato il tono investigativo e il mondo burocratico del palazzo; il manga ne ha accentuato i contrasti visivi, con una protagonista che spesso assume tratti felini nei momenti di intuizione — quasi a visualizzare il soprannome “Xiaomao”. L’anime ha trovato una sintesi calibrata e molto funzionale al mezzo: un equilibrio tra mistero, ironia e realismo emotivo, sostenuto da una regia sobria e da un doppiaggio originale capace di restituire la stratificazione linguistica del testo.
La seconda stagione ha ampliato il respiro narrativo, intrecciando i casi di palazzo con i frammenti del passato di Mao Mao e con le dinamiche del potere imperiale. Più politica, meno episodica: ha confermato che la serie non è un semplice gioco di enigmi, ma un romanzo di formazione travestito da giallo di corte. Con il doppiaggio italiano ora disponibile, l’opera raggiunge un nuovo pubblico e permette di apprezzare sfumature che vanno oltre la trama — i gesti, i silenzi, i toni di voce che sostituiscono le emozioni.
Nel panorama attuale, I diari della speziale è un’opera capace, più di tantissime altre, di far convivere introspezione e costruzione del mondo, estetica e ragione. Non ha bisogno di enfasi per essere profonda, né di drammi plateali per essere toccante. È una serie che respira con il ritmo della logica e con il battito irregolare della diffidenza: il ritratto di una donna che non dà nulla per scontato, vuole comprendere ciò che la circonda e nello stesso tempo restare sempre fedele a sé stessa.
Alla fine, ciò che resta non è soltanto la soluzione dei misteri o la ricostruzione storica, ma la consapevolezza che capire il mondo, la scienza, la curiosità e il dubbio diventano forme di resistenza silenziosa contro l’arbitrio e l’ignoranza. E in questo equilibrio tra freddezza e umanità, I diari della speziale trova la sua voce più autentica: una riflessione sulla conoscenza come atto di coraggio, e sulla lucidità come ultimo gesto di libertà.
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