C’è qualcosa di singolarmente magnetico in Dekin No Mogura, l’anime tratto dal manga di Natsumi Eguchi, prodotto da Brain’s Base e andato in onda nell’estate 2025. Apparentemente un racconto bizzarro sul confine fra vivi e morti, in realtà un piccolo esperimento narrativo che sfugge alle categorie più rigide del mercato giapponese contemporaneo. Non è uno shōnen, non è un horror, e non è neppure una commedia in senso stretto. È piuttosto un racconto di spiriti e umanità, un viaggio nel folklore giapponese moderno, raccontato con un tono che alterna leggerezza comica e malinconia.

Nota sul titolo: Dekin No Mogura (“La Talpa Bandita”). L’edizione internazionale lo rende spesso come Earthbound Mole, “la talpa legata alla terra”, un’espressione che allude alla condizione del protagonista (che non a caso fa di cognome Mogura: talpa in giapponese) sospeso tra i due mondi e “ancorato” al limine che li separa.
Il protagonista, Momoyuki Mogura, è una figura enigmatica: una sorta di “talpa” spirituale, un uomo bandito dal mondo degli spiriti che vive in una dimensione liminale, sospesa fra due realtà. È un antieroe goffo, spesso ironico, ma anche dotato di una saggezza spigolosa, intrisa di stanchezza e compassione. Intorno a lui ruotano personaggi che lo accompagnano nel suo quotidiano assurdo: due studenti universitari, Magi e Yaeko, che rappresentano il punto di vista umano, e una galleria di spiriti, famigli che spaziano dal carino all’inquietante, presenze e creature che sembrano uscite dalle antiche storie di yōkai ma con un taglio da commedia surreale.
Già da questa descrizione si intuisce come Dekin No Mogura appartenga a una tradizione ben precisa, quella del racconto folklorico giapponese reinterpretato in chiave moderna. Le radici sono le stesse da cui è germogliata l’opera di Mizuki Shigeru, autore di GeGeGe no Kitarō, che per primo ha tradotto il mondo degli yōkai in un linguaggio accessibile al pubblico di massa. Mizuki aveva la capacità di rendere il mostruoso familiare e l’ignoto quotidiano; Dekin No Mogura ne raccoglie in parte l’eredità, scegliendo però una tonalità più disincantata, più urbana e più ironica, con degli sprazzi di critica sociale.
Il disegno e l’animazione contribuiscono a questa sensazione di spaesamento familiare. Il tratto è semplice, volutamente essenziale: pochi dettagli, contorni netti, colori piatti. Una povertà visiva che non è limite ma scelta stilistica. Niente sfumature digitali o movimenti virtuosistici, bensì una regia sobria e ritmata, che ricorda più il teatro di carta di Yami Shibai che un anime d’azione in senso stretto. Lo spettatore non viene travolto da effetti, ma invitato a osservare: la lentezza, i silenzi imbarazzati, i momenti sospesi acquistano così valore narrativo.
Questo minimalismo visivo riporta alla mente un altro gigante del manga, Umezu Kazuo, maestro dell’orrore e del grottesco. Anche in The Drifting Classroom o Orochi, Umezu aveva usato la semplicità grafica come leva per amplificare l’inquietudine. In Dekin No Mogura accade qualcosa di simile: i volti leggermente deformi, gli occhi larghi, le smorfie improvvise conferiscono ai personaggi una carica espressiva disturbante, quasi caricaturale, ma sempre funzionale al racconto. Il character design ha quel tocco di grottesco che appartiene alla tradizione yōkai: figure che non sono mai del tutto umane né del tutto mostruose, sospese in una zona ambigua dove si incontrano paura e simpatia.
La trama, almeno in superficie, si sviluppa per archi narrativi brevissimi che si spezzettano tra gli episodi: Mogura si imbatte in un nuovo spirito, un nuovo dilemma, un frammento di mondo “altro” che s’intreccia con la vita umana. Ma sotto questa struttura apparentemente leggera si muove una sottotrama più ampia, che tocca temi come l’espiazione, l’identità, il confine tra colpa e redenzione. È qui che l’anime trova il suo equilibrio più riuscito: nella capacità di essere al tempo stesso narrativamente accessibile e simbolicamente profondo.
Uno degli aspetti più apprezzabili di Dekin No Mogura è la sua libertà dai cliché. In un panorama saturo di isekai e battle shōnen costruiti su formule ricorrenti — il protagonista che muore e rinasce in un mondo alternativo, i poteri che si accumulano, i nemici sempre più forti — quest’opera sceglie una via completamente diversa. Non ci sono “livelli” da scalare né “potenziamenti” da ottenere. I conflitti sono interiori, spirituali, spesso risolti più con la parola che con la forza. Persino i momenti di azione hanno un ritmo atipico, più teatrale che dinamico. È una scelta che può spiazzare chi si aspetta adrenalina, ma che restituisce freschezza a un genere da tempo logoro.
È anche un anime che osa essere “logorroico”. I dialoghi abbondano, i personaggi parlano molto, a volte troppo. Ma dietro quella verbosità si nasconde una volontà di approfondimento: ogni parola contribuisce a costruire l’atmosfera sospesa del racconto, ogni conversazione sembra girare intorno a un mistero che resta sempre un po’ oltre la comprensione. È un ritmo che richiede pazienza, ma che premia lo spettatore disposto a lasciarsi trascinare.
Dal punto di vista visivo, la direzione artistica è coerente con questa poetica: colori desaturati, toni freddi, ambienti urbani che sembrano appartenere a un Giappone fuori dal tempo. L’animazione non punta al realismo, ma alla suggestione. Gli sfondi a volte sembrano schizzi a matita, e questo rafforza l’idea di un mondo fragile, instabile, quasi disegnato dalla memoria. In certe inquadrature si percepisce un’intenzione pittorica, un desiderio di evocare più che mostrare.

Certo, Dekin No Mogura non è un anime per tutti. Alcuni spettatori lo hanno trovato lento, privo di tensione, troppo parco nei movimenti. Le recensioni internazionali lo confermano: molte valutazioni si aggirano su una media bassa, fra il quattro e il sei (cosa che in realtà ci ha stupito se confrontato con parecchi concorrenti della stagione 2025, dove serie con un’animazione appena passabile, e con trame inesistenti tutte uguali, si piazzano con votazioni ben superiori). Ma il punto è proprio questo: non si tratta di un prodotto pensato per stupire, bensì per insinuarsi lentamente. È una serie che vive di atmosfera, di piccole sfumature, di personaggi più che di colpi di scena. E in un’epoca in cui gran parte dell’animazione giapponese sembra puntare tutto sulla spettacolarità e sull’iperproduzione visiva, questa sobrietà diventa quasi un atto di resistenza.
Un altro merito della serie è la capacità di inserire elementi comici e surreali senza mai scadere nel prettamente demenziale, piuttosto in una comicità semplice fatta di personaggi spesso grotteschi. Il rapporto fra Mogura e i due studenti, ad esempio, genera situazioni di umorismo lieve, mai forzato. Le scene più leggere non rompono l’atmosfera, ma la completano: nel ridere dei difetti dei protagonisti, lo spettatore si riconosce, e di conseguenza si affeziona. È una leggerezza malinconica, quella che ricorda alcune commedie nere di fine anni Novanta, quando l’animazione giapponese cercava equilibrio tra mistero e ironia.
Nel complesso, Dekin No Mogura è un’opera di frontiera: modesta nella forma, ma di sostanza. Non ha la perfezione tecnica di un grande studio, né l’appeal commerciale di un shōnen di successo. Ma possiede qualcosa che molti titoli più patinati hanno perso: un’anima. C’è una sincerità di fondo, una volontà di raccontare il soprannaturale non solo come evasione, ma come specchio dell’umano.
Se si vuole cercare un’eredità diretta, è quella dei maestri come Mizuki e Umezu: l’idea che il folklore e l’orrore non siano solo un repertorio di mostri, ma un modo per riflettere sulla nostra condizione. L’inquietudine che proviamo davanti a un fantasma, suggerivano entrambi, è in fondo la stessa che proviamo davanti alla nostra ombra. Dekin No Mogura sembra averlo capito bene: i suoi famigli, i suoi spiriti, i suoi mondi nascosti sono allegorie di un disagio moderno, dell’impossibilità di sentirsi davvero “a casa” in nessun luogo.
Può darsi che Eguchi Natsumi non abbia la maestria visiva di un Umezu né di un Mizuki, ma la sua opera si colloca con coraggio in quella scia. In un panorama in cui molti anime si accontentano di ripetere formule consolidate, Dekin No Mogura sceglie di scavare — proprio come la talpa del titolo — sotto la superficie, per cercare qualcosa di più profondo. E anche se non sempre riesce a trovarlo, il solo tentativo la rende un’esperienza rara e preziosa.
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