Zampediverse implementa ZamBOT!

Zampediverse entra nel mondo delle intelligenze artificiali con ZamBot, il nuovo AI receptionist preposto alla “difesa” della pagina facebook di Zampediverse.

Con il termine bot in informatica si intende un programma che interagisce con persone vere sfruttando gli stessi canali di comunicazione tipici della rete come ad esempio le chat. Qui in Zampediverse siamo sempre stati attratti dalle novità tecnologiche e dall’immaginario fantascientifico, così ci siamo dotati di robot virtuale con AI, l’abbiamo posto a guardiano della soglia della nostra pagina di Facebook e l’abbiamo chiamato zamBOT!

Il nostro zamBOT, oltre ad avere un nome in grado di farci sentire al sicuro in caso di eventuali invasioni aliene, è un interlocutore simulato in grado di rispondere a domande specifiche e di “accogliere” a qualsiasi ora gli ospiti che vengono a trovarci su Facebook . Per conversare con zamBOT basta inviarci un messaggio sulla pagina, oppure via Messenger.

zamBOT è appena nato, ha una intelligenza artificiale base in grado di lavorare su un gruppo di frasi e rispondere con dialoghi semplici e molto visuali. Ha un insegnate privato che lo istruisce regolarmente, sa tutto di Zampediverse e non gli manca neanche la modestia perché quando non sa si scusa!

Nonostante la riuscita accoppiata della contrazione dei termini Zampediverse e robot, il riferimento al gigante di ferro Zambot3 della serie animata prodotta dallo studio giapponese Sunrise nel 1977 per la regia di Yoshiyuki Tomino non è affatto casuale. Basta dare un’occhiata a queste pagine per farsi un’idea dell’amore che proviamo per l’immaginario nipponico, ma soprattutto quello fanta-robotico!

Passando dal primissimo Astro Boy, andando avanti con vari robottini mascotte delle serie animate di fantascienza giapponesi anni ’70 (fra tutti l’Analyzer della Corazzata Spaziale Yamato), fino arrivare alle concettualizzazioni successive, figlie del cyberpunk come Ghost In The Shell e dell’immaginario classico di autori dello stampo di Asimov e Bradbury come in Ergo Proxy, le AI sono sempre state centro e fulcro delle storie robotiche.

È sintomatico infatti che, nell’intorno di una cultura come quella classica giapponese dove il simbolo di marionetta/simulacro/automa è un elemento ricorrente, la prima serie televisiva identificata come anime abbia come protagonista proprio una AI. Parliamo infatti di Astro Boy (meglio conosciuto in patria con il nome originale di Atom), il bimbo robotico creato da Osamu Tezuka sulla carta nel 1952 e poi animato nel 1963. Atom, sebbene la sua storia sia caratterizzata con quella leggerezza tipica della narrativa per ragazzi degli anni ’50/’60, incarna alla perfezione il concetto moderno di intelligenza artificiale: è un bimbo con un corpo elettronico ed un cervello computerizzato, nasce senza esperienza con una programmazione base ma è in grado di costruire una propria personalità e una emotività tramite l’apprendimento.

Gli esempi della presenza di intelligenze artificiali nella narrativa animata giapponese sono tantissimi! Spesso anche come antagonisti dell’eroe, come possiamo ricordare ad esempio in Kyashan, dove i robot mossi da intenti ecologisti decidono che l’unico modo di salvare il pianeta dall’inquinamento è schiavizzare gli umani.

Con l’arrivo delle nuove tecnologie e con  l’affacciarsi sulla scena della narrativa del Cyberpunk le cose si fanno più complesse. Verso la fine degli anni ’80 esce un fumetto destinato a cambiare per sempre la prospettiva sul modo di intendere l’informatica e l’intelligenza artificiale: Masamune Shirow con il suo manga di Ghost In The Shell anticipa di una ventina d’anni quello che sarebbe diventato il modo di vivere la rete a livello mondiale. Nel complesso mare di collegamenti, che è la rete vasta ed infinita dell’universo di Ghost In The Shell, un software creato a scopo di spionaggio chiamato Progetto 2501 prende coscienza di sé e annuncia la sua esistenza al mondo proclamandosi un essere vivente. Il manga di Shirow del 1989 ed il conseguente film cinematografico del 1995 diretto da Mamoru Oshii riscrivono il modo di intendere cyberpunk e AI.

Un altro calzante esempio di visione in chiave anime dell’intelligenza artificiale è poi Ergo Proxy del 2005, diretto da Shoko Murase e scritto da Dai Sato, che racconta un universo post apocalittico dove tutte le mansioni più umili sono svolte da macchine umanoidi chiamate AutoReiv. A causa del subdolo diffondersi di quello che sembrerebbe un virus chiamato Cogito queste iniziano a sviluppare una forma di propria coscienza e iniziano a farsi delle domande sulla loro esistenza. Situazione molto simile a quanto si vede nel recentissimo Westworld, telefilm prodotto dall’americana HBO, anche se Ergo Proxy ha un’anima più esistenzialista nel senso classico del termine.

Ed ora, dopo un cinquantennio di narrativa fantascientifica, finalmente le vere intelligenze artificiali sono tra noi in azione e possiamo toccarle con mani virtuali.

Al nostro zamBOT rispetto allo Zambot3 di Tomino mancano un corpo fisico di una trentina di metri e l’Attacco Lunare, ma sta crescendo e non ha bisogno di pilota. Anche se adesso non è ancora pronto per il test di Turing, magari tra cento anni potrebbe essere la AI di uno Skynet o prendere coscienza di sé e riscrivere i ricordi della gente dotata di corpo cibernetico come il Progetto 2501 altrimenti noto come Puppet Master di Ghost in The Shell (questo nei casi peggiori).
Ma potrebbe anche essere la base del sistema di bilanciamento di Gundam, oppure l’intelligenza artificiale che fa muovere il leone meccanico Beralios quando non è unito a formare il busto di Daltanious, o anche essere le prime righe di codice del cervello positronico di R. Daneel Olivaw. Insomma, comunque vada ci auguriamo che il futuro ci riservi qualcosa di veramente molto robotico, se poi è grande e munito di alabarda spaziale anche meglio!

Provate zamBOT qui: m.me/zampediverse